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Durante una sessione di “question time” alla Camera, il ministro della Pubblica Amministrazione Renato Brunetta, famoso per la (sacrosanta) lotta ai fannulloni, è tornato ad attaccare lo “smart working, definito come “un lavoro a domicilio all’italiana“, destinato a non avere prospettive future.

Secondo Brunetta infatti questa modalità di lavoro sarebbe utile in emergenza, come è accaduto durante il lockdodwn causato dalla pandemia di covid, ma “proiettarlo nel futuro – ha specificato il ministro – mi sembra un abbaglio“.

I motivi di questo profondo scetticismo? “Oggi chi fa lavoro agile non ha un contratto specifico, non ha obiettivi, non ha tecnologie, in più non c’è sicurezza, vedi il caso del Lazio, insomma è un lavoro a domicilio all’Italiana“, ha dichiarato su Repubblica.

Caro signor ministro, senza soffermarci nuovamente sui grandi vantaggi e soprattutto sulle potenzialità dello smart working, già abbondantemente affrontati in queste pagine, è importante evidenziare l’ultima parte delle sue motivazioni che, stranamente, condividiamo appieno. Chi oggi lavora in maniera agile è vero che spesso non ha un contratto specifico, non ha obiettivi, non ha tecnologie e in più opera in regime di precaria sicurezza digitale, ma quelle che lei chiama motivazioni sono in realtà interventi che lo Stato e le aziende private dovrebbero attuare per completare e rendere applicabile un modello di smart working funzionale sempre più indispensabile, che permetterebbe al lavoratore di poter conciliare gli impegni personali con la produttività e gli obiettivi aziendali.

Non bisogna dunque arrendersi di fronte alle prime difficoltà, caro ministro Brunetta, ma alzarci le maniche e metterci a lavorare per trasformare l’Italia da perenne Paese alla rincorsa del futuro a vero e proprio creatore di futuro.

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