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Dopo tanto tribolare e con uno spettacolo  spesso poco edificante, le Camere riunite hanno finalmente eletto il nuovo Capo dello Stato, che poi in realtà è quello vecchio, ossia Sergio Mattarella.

Al di là di qualunque valutazione politica, per le quali esistono sedi mediatiche certamente più opportune, lo staff di Global Magazine è lieto di augurare al presidente Mattarella altri 7 anni di proficuo lavoro.

L’argomento dell’articolo però non riguarda, come accennato, valutazioni sull’andamento delle votazioni, ma la caratteristica che questa volta ha reso la corsa al Quirinale un “unicum” della storia, ovvero il voto in piena pandemia di covid.

L’esercizio del voto dei parlamentari e dei delegati delle regioni riuniti in seduta comune è sacro, segreto e libero, ma deputati e senatori risultati positivi, purché ovviamente asintomatici o paucisintomatici, si sono ritrovati nell’impossibilità di entrare alla Camera per esercitare il proprio diritto, un’evenienza non prevista dal legislatore e che ha posto non pochi problemi organizzativi alla complessa macchina elettorale.

Nel 2022, in piena transizione digitale e con le sedute di commissione via Zoom che sono ormai una realtà consolidata, un’eventuale soluzione tecnologica che aiutasse i grandi elettori positivi ad esercitare il proprio diritto, nei fatti, non è stata neppure presa in considerazione.

In questa tornata, il parlamentare positivo arrivava in ambulanza o con un mezzo privato al “drive-in” allestito in via della Missione, nei pressi della Camera dei Deputati, scriveva il nome del “suo” Presidente della Repubblica tra mille accortezze e sanificazioni e poi tornava al suo isolamento.

Davvero non si poteva fare diversamente?

Senza scomodare la creazione di complicate e costose piattaforme online create esclusivamente a tale scopo, nessuno ha pensato a soluzioni alternative digitali, magari attraverso sistemi già esistenti certificati da firme digitali, webcam o altri metodi sicuri di identificazione? Per quanti decenni ancora il voto elettronico resterà tabù in Italia? 

Sappiamo molto bene che la risposta a queste domande non arriverà in tempi brevi, ma è altrettanto vero che l’ipotesi di poter votare da remoto, anche per la normale attività in commissione o in aula è ormai un’esigenza non più prorogabile.

Le priorità restano senza dubbio la sicurezza, la funzionalità e la sostenibilità del sistema eventualmente scelto mentre gli ostacoli arrivano innanzitutto dall’adattamento dei regolamenti parlamentari; si tratterebbe però di un’importante opera di modernizzazione che potrebbe poi aprire, in un futuro non troppo lontano, anche la possibilità di far votare ogni cittadino alle elezioni politiche e amministrative con il proprio SPID senza necessità di anacronistiche conte uomo/donna ai seggi di appartenenza, sconfiggendo magari il paradosso, ancora presente, che permette il voto a chi risiede all’estero ma non a chi si trova in visita in un’altra città d’Italia.

Abbiamo a disposizione i prossimi sette anni per provare ad offrire un’alternativa più smart ed efficace a questa elezione, senza ovviamente nulla togliere alla sacralità del momento; l’appello è rivolto all’attuale inquilino del Quirinale, o magari anche a quello di palazzo Chigi: se volete qualche idea, battete un colpo che noi ci siamo.

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